RACHELE BURIASSI. L'esperienza sul palco è un valore da trasmettere
- Monica Brini
- 9 set 2017
- Tempo di lettura: 5 min

Ho incontrato Rachele il primo giorno di lezione dell’Hab Summer Intensive a luglio scorso. Non l’ho riconosciuta subito, confondendola con le allieve in fase di riscaldamento.
Minuta, sorridente e con il portamento tipico delle ballerine, fiero e inconsueto. Non ho impiegato molto a capire che in lei c’era qualcosa di estremamente diverso rispetto alle giovani promesse, il temperamento determinato e sicuro, la dolcezza e la passione di chi ha voluto fortemente realizzare un sogno e ce l’ha fatta.
La sua aura si percepisce, è sana, coinvolgente e generosa.
Rachele Buriassi, attualmente solista del Boston Ballet è cittadina di un mondo parallelo dall’età di 11 anni quando lasciò Sarzana per raggiungere prima Cannes, L’Ecole Supérieure de Danse Rosella Hightower poi Stoccarda, la Staatliche Ballet Akademie.
Avere la sua presenza nel corpo insegnanti dello stage estivo è stato stimolante per gli allievi in quanto ha messo a disposizione una concreta visione della danza e ha offerto un percorso non solo accademico, anche pratico, attuale, emotivo e sensoriale grazie alla sua professione attiva sul palcoscenico mondiale.
Abbiamo fatto a Rachele alcune domande sulla sua esperienza di docente del corso di danza classica, punte e repertorio junior e senior e lei con grande disponibilità ed umiltà ci ha dedicato attimi rubati al ritmo serrato del Summer Intensive 2017.
Monica. Ciao Rachele, benvenuta a questa tua prima esperienza HAB. Il tuo curriculum lo conosciamo e ti facciamo i nostri complimenti per la tua carriera. Vorremmo parlare di te come insegnante. Non è sempre scontato che una brava ballerina sia anche una brava docente. Tu come ti prepari di solito prima di iniziare uno stage con allievi che ti vedono come una chimera?
Rachele. Quando inizio uno stage sono piena di idee su come preparare le lezioni, su cosa fare e cosa non fare senza mai tenere conto che il materiale umano, ovvero gli allievi che parteciperanno hanno un ruolo fondamentale. Spesso proprio perchè non tengo conto di questo aspetto, tutti i miei preparativi sono risultati inutili a fronte di lezioni gestite ora per ora a seconda della preparazione di chi vi partecipava. Questa volta ho deciso di fare tesoro di queste esperienze e non mi sono costruita idee o lezioni in anticipo cercando prima di tutto di capire con chi avrei dovuto lavorare.
M. Tu sai che uno dei punti determinanti nell’organizzazione dello stage è il numero chiuso per ogni corso. Ovvero i gruppi di lavoro divisi per età non superano i 12/15 elementi. Cosa ne pensi di questa regola che risulta discordante nel panorama degli stage di danza.
R. La possibilità di lavorare con pochi elementi per ogni corso è straordinaria e molto costruttiva. In questa maniera hai veramente l’opportunità di trasmettere loro qualcosa di utile. Dopo un’ora di lavoro insieme, conosci già i loro nomi, il secondo giorno sei già in grado di riconoscere per ognuno i punti di forza e le mancanze su cui lavorare. Quando ti ritrovi con gli altri insegnanti e ti confronti su un allievo piuttosto che un altro tutti sanno di chi si parla perchè si ricordano di lui o di lei. Questo non è affatto irrilevante anzi è ciò che determina la differenza tra questo stage e molti altri. Quando mi capita di insegnare in stage dove davanti ho decine e decine di allievi tutti insieme, appiccicati, a volte mi sento in colpa perchè ho la netta sensazione di non riuscire a dare loro alcun aiuto. La qualità e non la quantità è un grande valore, spero che voi continuiate con questa logica.
M. Sono d’accordo con te. Anche se mantenere questo standard è piuttosto impegnativo penso che l’organizzazione abbia senza ombra di dubbio intenzione di consolidare questa formula anche per i prossimi eventi. Che ne pensi dell’inserimento del corso di Performance?
R. Bellissima esperienza. Il lavoro in sala, alla sbarra è fondamentale ma lo è altrettanto l’esibizione sul palcoscenico. C’è un momento in cui la tecnica ha valore assoluto ma quando sei sul palcoscenico devi solo ballare e lì la tecnica ha un grammo di valore in meno. Questo nuovo corso ha dato a me la possibilità di trasferire a loro tutta la mia esperienza, nei dettagli, nell’emotività, nella sicurezza di esporsi e credo che abbia offerto loro un bagaglio molto importante. Questo è il corso dove ho costruito il maggior rapporto umano con gli allievi, ho diminuito la distanza che normalmente si crea tra i ruoli perchè ho messo a disposizione il mio sapere e loro lo hanno accolto con grande armonia. Sono ancora abbastanza giovane per ricordare i timori e le insicurezze dovuti all’inesperienza quindi ho facilità a capire i loro limiti e so come affrontarli e come aiutarli. Questo corso è stato straordinario.
M. Al termine dello stage i ragazzi si sono esibiti in uno spettacolo “Alice nel paese delle meraviglie” montato in quattro giorni grazie alla regia di Jenna Lee del London Children Ballet, tua collega in questa esperienza. Com’è stato lavorare con gli allievi ai ritmi di una compagnia professionale?
R. Organizzare uno spettacolo in quattro giorni è sempre molto difficile anche per i professionisti figuriamoci per dei giovani e giovanissimi allievi però è ciò per cui studiano e si impegnano tutto l’anno quindi è molto entusiasmante. In quattro giorni devono non solo imparare delle coreografie e memorizzarle, devono entrare in un personaggio, quello scelto per loro e renderlo credibile. Non è facile e non è da tutti. Questo spettacolo è stato il risultato del lavoro svolto nel nuovo corso di Performance dove abbiamo potuto lavorare con loro sulle singole attitudini e sulla presenza scenica. Spesso negli stage questo settore viene trascurato in favore di maggiori lezioni di tecnica ed è un peccato in quanto per i giovani aspiranti ballerini è molto importante mettersi alla prova sul palcoscenico ed usufruire di consigli, suggerimenti e supporto per migliorare questo importante aspetto del loro percorso.
M. Com’era Rachele alla loro età?
R. Impaziente, molto impaziente e già convinta, all’età di 11 anni, di non potere fare altro nella vita se non ballare.
M. Che differenze evidenti ci sono tra la danza oltreoceano e da noi in Europa?
R. La competizione. Negli Stati Uniti sentono fortemente lo stimolo competitivo. Per loro ogni esibizione è una sfida e devono essere al massimo, sempre. La parte scenica per loro è fondamentale.
M. C’è sempre molta contraddizione nel consigliare i giovanissimi allievi ad abbandonare la famiglia a volte l’Italia per andare a studiare in Accademie all’estero. Tu cosa ne pensi?
R. Penso che ovviamente non sia per tutti, non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto psicologico. Per lasciare la famiglia e l’Italia in età pre-adolescenziale, come feci io, ci vuole molta determinazione, una dose massiccia direi, tale da farti sopportare la lontananza e la mancanza dell’appoggio di amici e parenti. Solo se esistono tutti questi fattori insieme è giusto appoggiare e magari anche spingere gli allievi a studiare all’estero consapevoli che è un canale fondamentale per raggiungere certi obiettivi ma fortunatamente non l’unico.
M. Grazie Rachele per la tua disponibilità e sincerità. Speriamo di averti con noi anche il prossimo anno.
R. Grazie a voi. Lo spero anch’io.
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